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Aquilotti 72 (Corno Piccolo - Gran Sasso)

Aquilotti 72 Una delle vie più ripetute delle Spalle. In verità non tutta la via è molto ripetuta ma soltanto l'ultimo tiro: quello dei chiodi a pressione. Questo è dovuto al fatto che quasi tutti coloro che salgono per il Vecchiaccio evitano il tiro finale, quello più duro, e ripiegano su quello di Aquilotti. Non è infrequente quindi che sull'ultima sosta vengano a trovarsi diverse cordate con relativo intreccio di corde. Questa del 1972 è la prima della lunga serie di itinerari aperti dagli Aquilotti sulle pareti del Gran Sasso. Dopo la 72 seguirà Aquilotti 73 (Monolito), 74 (Seconda Spalla), 75 (ancora sulla Seconda Spalla), 79 (Quarto Pilastro, vetta Orientale), 85 (Terza Spalla), 2001 (Strutture di Intermesoli). Una bellissima tradizione che ancora continua. Quando questa via fu aperta nessuno ancora osava avventurarsi sulle placche del Corno Piccolo in libera.

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via Mallucci-Geri-Lagomarsino (Gran Sasso)

Alla fine degli anni '60 le lisce placche della seconda Spalla rappresentavano ancora un ostacolo troppo impegnativo per gli alpinisti locali e, nei tratti più impegnativi, per progredire si ricorreva ai chiodi a pressione. Qualche anno più tardi, Pierluigi Bini con le sue superga, dimostrò che era possibile salire anche senza piantare chiodi e aprì un nuovo capitolo per l'alpinismo del Gran Sasso. Questa via è stata aperta con 13 chiodi a pressione e valutata IV+ con passi di artificiale; oggi di chiodi ce ne sono molto meno e il grado è diventato VI-. Il tiro finale, lungo una bellissima placca di roccia magnifica, ha avuto una vita travagliata; prima qualcuno ha tolto i chiodi a pressione alzando notevolmente il livello di difficoltà, poi di recente sono stati rimessi degli spit che rendono l'arrampicata piacevole e mai troppo stressante. Forse anche sulla vicina Aquilotti 72 si potrebbe fare la stessa cosa; sostituire i vecchi chiodi a pressioni con nuove protezioni, si perderebbe una testimonianza storica ma ne guadagnerebbe l'arrampicata. Una scelta difficile.

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Via Achille (Pizzo del Diavolo)

Achille era un alpinista serio e preparato che ha percorso in lungo e in largo queste montagne in ogni stagione. Proprio su queste pareti che ha amato tanto, nel 2013, il figlio, Luigi, insieme ad altri amici ha voluto aprire una breve ma dura via in suo ricordo. La via Achille passa poco a destra della via "Diretta Nord alla Testa" ed esce proprio in cima al Gran Gendarme. L'attacco è sulla rampa erbosa che si percorre una volta usciti dalla Direttissima al Colletto o dalle vie che iniziano sulla destra di questa. E' una via molto breve, solo due tiri, ma bella, divertente e su roccia molto buona. Esposta a nord, dopo forti piogge può presentare tratti bagnati. In loco sono presenti numerosi spit e chiodi ma è consigliato avere friend o dadi per integrare le protezioni a tratti distanti, specialmente nel secondo tiro. Aperta con tratti di artificiale è stata ripetuta in libera.

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Il Dente del Lupo (Gran Sasso)

Il Dente del Lupo, sotto il monte Camicia, nel gruppo del Gran Sasso, è considerato il 2000 più impegnativo dell'Appennino. Per arrivare in vetta, seguendo la via normale (poco meno di 100 m), bisogna superare dei passaggi alpinistici di III e IV grado su roccia a tratti friabile. Anche l'avvicinamento non è banale. Dopo aver risalito tutto il vallone di Vradda, occorre scendere un ripido pendio erboso e un canalone con brevi passaggi di I grado. Questo tratto, che permette di raggiungere la Forchetta di Penne, sulla guida Cai-Touring del 1972 a cura di C. Landi Vittorj e S. Pietrostefani, veniva descritto con queste parole: "Per raggiungerlo [il Dente del Lupo, N.d.A] occorre scendere per un ripidissimo e malfido pendio erboso e sassoso". Per questi motivi risulta poco appetibile dal punto di vista alpinistico, infatti la maggioranza degli scalatori mette in cima alle preferenze la qualità della roccia, la bellezza della scalata e anche un avvicinamento non complicato. Così, anche se posto in un ambiente superbo e severo, questo campanile risulta pochissimo frequentato. Di contro, molti escursionisti ambiscono a questa vetta per diversi motivi, non ultimo quello di completare la salita di tutti i 2000 degli Appennini. Il consiglio, per tutti coloro che non hanno una buona esperienza alpinistica e vogliono salire questa cima, è di rivolgersi a persone più esperte: amici esperti o guide alpine.

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Via Mallucci-Monti (Vetta Centrale, Gran Sasso)

La via Mallucci-Monti segue la lunga e frastagliata cresta che sale dal bivacco Bafile fino alla Vetta Centrale del Corno Grande. Aperta nel lontano 1950, non presenta difficoltà di rilievo; la maggior parte dei tiri ha passaggi di II e III grado. Solamente nel terzo tiro, un bel diedro di circa 20 m, occorre superare dei tratti di V grado. La qualità della roccia non è il massimo; buona nelle difficoltà ma molto friabile per lunghi tratti. In qualsiasi altro posto una via di questo tipo sarebbe alpinisticamente irrilevante e dimenticata ma qui, con l'esposizione che solo il Paretone può dare, l'itinerario regala delle soddisfazioni per i vertiginosi affacci sulla sottostante valle dell'Inferno. La via non è molto ripetuta ma nei punti difficili risulta protetta; anche la doppia, dopo il tiro chiave è attrezzata con cordone e maglia rapida. Le guide in commercio contengono diversi errori: danno una valutazione un po' riduttiva della difficoltà massima, sicuramente non è IV- ma V grado così come il tiro in leggera discesa di II è una doppia di circa 30 m e lo sviluppo, fino alla cresta finale, è di circa 450 m e non di 350.

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Le due generazioni (Corno Piccolo)

Itinerari aperti da cordate composte da padre e figlio sono molto rare: la via delle due generazioni, aperta nel 1981 da Roberto (il figlio) ed Enrico Ciato (il padre) è una di queste. Da subito è diventata una delle vie più ripetute della Seconda Spalla; roccia ottima, possibilità di proteggersi e un passo di VI che ha messo ha dura prova numerose cordate. La via sale all'estrema sinistra della parete nord; i gradi sono discontinui, rimangono contenuti (max V), per quasi tutta la via eccetto la partenza dell'ultimo tiro dove occorre superare una placca di VI grado. La roccia è ottima e le soste sono attrezzate anche se occorre sempre stare attenti perchè il materiale spesso è datato. In genere ci si può proteggere abbastanza facilmente con dadi e/o friend, le protezioni non sono abbondanti ma presenti nei passi più duri. Oggi ad esempio nel passo chiave ci sono ben tre chiodi mentre anni fa ce n'era soltanto uno.

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Di Federico-De Luca (Monolito, Corno Piccolo)

La via Di Federico - De Luca è stata la prima via aperta completamente in libera sul Monolito. Giampiero Di Federico qui ebbe una splendida intuizione e riuscì a trovare una linea tra le difficilissime placche di questo compattissimo scudo roccioso. Insieme ad Enrico De Luca, nel 1980, nasce così questa via che diventa subito una delle vie più ripetute ed apprezzate del Monolito. Prima di allora, sulla parete erano state aperte diverse linee, la Rosy, la via del Monolito, la Emanuela, Aquilotti 73, tutte però con passaggi di artificiale. Dopo la Di Federico - De Luca le placche non fanno più paura e, vista la qualità della roccia, vengono aperte alcune delle vie più dure del gruppo: Baphomet, Golem, Kronos, ecc. Qui iniziano a vedersi anche i primi spit, compaiono su "Il ritorno degli eroi", una via molto dura aperta da Fabio Delisi con Simone Gozzano e Fabrizio Lemma. Non sono accolti molto bene anche perchè vengono messi calandosi con la corda dall'alto. Poco dopo vengono rimossi. Siamo nel 1984, l'argomento spit si, spit no fa ancora molto discutere.

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Via del Vecchiaccio (Corno Piccolo)

La via del Vecchiaccio è una delle vie più ripetute del Gran Sasso. Generalmente la stragrande maggioranza delle cordate preferisce evitare l'ultimo tiro, quello più difficile, ripegando per la vicina Aquiloti '72. Anche nel 1977, anno di apertura di questa via, la cordata Bini, Marcheggiani e "il Vecchiaccio" (cioè Vito Plumari) tirarono dritti per i chiodi a pressione di Aquilotti ed evitarono il tratto finale; una liscia e improteggibile placca di calcare compatto. Passò poco tempo e ancora Bini, questa volta con Raffaele Bernardi salì anche quest'ultimo tiro realizzando così la via più dura del Gran Sasso. Il primato durò poco perchè nel 1978, l'anno d'oro della cordata Bini-Vecchiaccio, vengono aperti altri stupendi e difficilissimi itinerari sulle Spalle del Corno Piccolo. Dopo il Vecchiaccio seguono le Placche di Manitù e le Placche del Totem sulla Seconda Spalla, mentre sulla Prima Spalla, questa volta senza Plumari, viene aperta la Stefano Tribioli. Così, a soli 19 anni, Pierluigi Bini è già un fuoriclasse, le sue vie rimarranno per anni tra le più difficili e temute del gruppo. Per la prima volta venivano salite delle placche senza ancoraggi fissi (spit o chiodi a pressione); questo rendeva l'arrampicata molto rischiosa perchè tra una protezione e l'altra spesso occorreva proseguire per molti metri senza nessuna possibilità di proteggersi.

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Forra della Sibilla (Monti Sibillini)

Giuseppe Antonini nel suo libro "Figlie dell'acqua e del tempo" giudica questa forra: "itinerario discretamente interessante, caratterizzato da un profilo essenzialmente verticale; diventa piacevole se affrontato in regime di massimo scorrimento". Da queste poche parole si capisce la profonda differenza tra chi pratica il torrentismo seriamente e chi invece scende qualche forra in modo saltuario come il sottoscritto e i suoi amici; i primi amano ficcarsi sotto l'acqua gelida, gli altri hanno freddo solo a pensarci. Per questo abbiamo ripetuto questa forra nel suo periodo di portata minima. Al di là di queste differenze acquatiche penso che entrambi apprezziamo la bellezza e la suggestione di questi luoghi nascosti e "misteriosi". La forra della Sibilla è conosciuta anche come Arcofù, dall'arco roccioso che sovrasta l'ultima calata prima di giungere sull'alveo del Tenna.

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Spigolo di Paoletto (Corno Piccolo)

Lo Spigolo di Paoletto, aperto nel 1974, è ancora oggi uno degli itinerari più frequentati della parete nord del Corno Piccolo. Accesso veloce, possibilità di ritirata, gradi classici e roccia ottima sono le note positive di questa via. Ultimamente, visto il caldo di queste estati, anche l'esposizione a nord rientra tra i fattori positivi. Di contro ha uno sviluppo limitato (meno di 200 m) che però, ad esempio nei corsi, può rappresentare un vantaggio. I passaggi più difficili sono di V ma, se si vuole, si può aumentare la difficoltà con una breve variante al secondo tiro. Se, invece di traversare verso destra, si prosegue sulla fessura di sinistra, si aggiunge alla via un bel passo di VI grado. Inoltre, giunti alla quarta sosta (in comune con quella della Iskra) se si prosegue per quest'ultima si aggiunge un altro bel tiro di V grado.

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