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Valle del Tordino (Monti della Laga)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi Incontrare scialpinisti sui Monti della Laga non è semplice, nella valle del Tordino quasi impossibile. Pochissimo frequentata e selvaggia è riservata a chi intende lo scialpinismo come un mezzo per andare d'inverno sulle montagne e non come un modo diverso (magari più economico) di andare a sciare. L'escursione è molto varia; la salita offre un magnifico panorama sul gruppo del Gran Sasso (vedi anche Monte Gorzano dal Colle della Pietra) mentre la discesa si svolge per un bel tratto dentro un canalone. Dovendo sciare sul fondo di un canale è ovvio che le condizioni del manto nevose devono essere ben assestate: il pericolo di valanghe non è basso. Conviene fare questa gita a stagione inoltrata, quando il fondo del canalone è completamente ricoperto e non ci sono problemi di scorrimento d'acqua. Qui sorge il torrente Tordino, uno dei tanti torrenti della Laga, ricco d'acqua e interessante da percorrere anche in estate (vedi: Torrente Tordino). La gita è abbastanza lunga poichè spesso occorre partire molto in basso.

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Monte Ienca (Gran Sasso)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi Il monte Ienca è una cima non molto frequentata della catena del Gran Sasso. Pochi sono gli itinerari scialpinistici che raggiungono questa vetta e alcuni, come questo, sono poco interessanti. Salire allo Ienca dal Passo delle Capannelle significa fare una lunga camminata che, dal punto di vista ambientale è molto interessante ma dal punto di vista sciistico può risultare deludente. Questo perchè la pendenza è scarsa e l'itinerario si svolge per gran parte su un crinale. E' consigliato percorrerlo quando la strada di accesso è sgombra dalla neve altrimenti occorre aggiungere altri 4+4 Km di percorso alla gita raggiungendo così quasi 30 Km di sviluppo complessivo. La prima parte dell'itinerario, fino alla valle del Paradiso, è frequentata anche da escursionisti con le ciaspole; il terreno si presta perfettamente a questo tipo di attività. Il rifugio Antonella Panepucci, posto all'ingresso di questa valle, è chiuso ed è di proprietà della sezione CAI dell'Aquila.

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Pizzo Cefalone e Monte Portella (Gran Sasso)

Iacopo Porreca

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi La dorsale che collega il M. Portella al M. S. Franco appare, a chi la osserva dal versante aquilano, come un bastione roccioso dall’aspetto severo, che senza soluzione di continuità, precipita con ripidi canaloni verso la piana di Assergi. In condizioni di buon innevamento e di assoluta stabilità del manto, quegli stessi canali riservano stupende discese in sci per centinaia di metri. Le condizioni della neve sono però da valutare con attenzione: troppa costituirebbe un pericolo certo per la valangosità del versante, troppo dura un rischio date le non banali pendenze e troppa poca evidentemente un limite alla remuneratività degli itinerari. Volendo si può abbinare alla discesa dal Cefalone quella del Vallone della Portella: al piacere di una ulteriore bella sciata fa da contraltare la necessità di risalire tutto il dislivello perso; è una variante che può essere omessa da chi volesse risparmiarsi la fatica necessaria a riguadagnare la cresta di partenza.

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Costa Stellata (Gruppo del Monte Velino)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi Costa Stellata, nel gruppo del monte Velino, è il nome del crinale che divide la valle Majelama dalla valle della Genzana. Un nome suggestivo come quello della vicina Vena Stellante, un'altra cresta situata poco più a nord, nei pressi del monte Puzzillo. Questo itinerario ad anello, inizia nei pressi di Forme, un piccolo paese alle falde del monte Velino, percorre prima la valle Majelama, poi tutto il crinale della Costa Stellata ed infine ridiscende per la valle Genzana. L'ingresso nella valle Majelama, situato poco a monte di Forme, ha delle restrizioni: è vietato l'accesso dal 15 febbraio al 15 agosto. Il divieto, emanato dall'Ente Parco Regionale del Sirente-Velino, si è reso necessario per la salvaguardia dei rapaci che in questa valle nidificano e si riproducono; in particolare l'acquila reale e il grifone (Gyps fulvus, un avvoltoio). Lungo la salita la valle cambia nome e diventa valle del Bicchero, dall'omonimo monte che divide questo versante dal vallone di Teve.

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Valle delle Mandrelle (Majella)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi La valle delle Mandrelle è una delle meno frequentate e conosciute del parco nazionale della Majella. Il lungo avvicinamento "blocca" la maggior parte degli escursionisti e riserva l'accesso a chi è ben allenato oppure a chi didive l'escursione in due giorni. In effetti 2300 m di dislivello e oltre 30 Km di sviluppo sono parecchi ma la bellezza dei luoghi attraversati, la diversità degli ambienti e la sensazione di "wilderness" che a tratti si prova ripagano appieno lo sforzo profuso nella gita. Questo anello inizia da Fara San Martino, a soli 450 m di quota, proprio sopra le sorgenti del Verde, il fiume che alimenta i numerosi pastifici della zona (De Cecco e Del Verde i più conosciuti). Si inizia subito con le suggestive gole di San Martino dove alla fine della strettoria recenti lavori hanno riportato alla luce l'abbazia di San Martino in Valle, che varie alluvioni nel XIX secolo avevano sommerso sotto metri di ghiaia. Questi lavori però hanno anche deturpato l'accesso alla valle dove una bruttissima strada e una recente frana hanno rovinato il paesaggio in modo pesante. Questa valle è talmente lunga che durante il suo sviluppo prende tre nomi, all'inizio è valle di Santo Spirito poi diventa di Macchia Lunga ed infine, sotto la cima del monte Amaro, è valle Cannella.

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Grotta del Cavone (Majella)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi Il vallone delle Tre Grotte ci piace; selvaggio, verde, panoramico, si presta a bellissime escursioni in particolare nella stagione autunnale quando i vasti boschi, che ricoprono ogni versante della valle, si "accendono" di colori. Anche la segnaletica è molto colorata, bandierine bianco-rosse e giallo-rosse, frecce blu, pallini gialli, cerchi rossi, insomma qualcuno ha dato sfogo ad ogni fantasia pittorica. Anche se le intenzioni erano lodevoli i risultati non sono certo soddisfacenti, troppa vernice e troppi colori non fanno certo un bell'effetto. Meritevole invece il taglio dei rami dei pini mughi che ostruiscono il sentiero. In tutta la Majella quest'albero si sta riappropiando del terreno perso a causa della pastorizia e di fatto sta cancellando ogni traccia di mulattiera, come nel sentiero che attraversa la valle delle Tre Grotte poco più a monte di questo (vedi Il Vallone delle Tre Grotte), ormai quasi impraticabile.

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Il Vallone d'Angora (Gran Sasso)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi La valle d'Angri è l'ultima grande valle (verso est) del settore orientale del Gran Sasso. Inizia poco sopra Farindola e termina sulla piana di Campo Imperatore; molto aperta in basso, nel tratto mediano diventa una vera e propria gola: il vallone d'Angora. Qui tra alte pareti verticali si snoda il tratto più suggestivo di questa escursione. Una delle prime pareti ha anche un nome, il "Becco dell'uccellaccio" o "Becco dell'aquila" per la sua caratteristica conformazione. Anche altre pareti della zona hanno nomi propri, la "Nave", i "Merletti", "Lo Scoglio dei Camosci", tutte strutture conosciute molto bene dagli arrampicatori che le hanno attrezzate e le frequentanto da molti anni. La valle è ricca anche d'acqua: le sorgenti del Tavo e del Vitello (o della Vitella) d'oro (dalla leggenda dove si narra di alcune donne che, mentre attingevano dell'acqua, videro un vitello di colore giallo-oro) alimentano il secondo acquedotto più grande d'Abruzzo. D'altra parte siamo sotto Campo Imperatore, uno dei più grandi sistemi carsici del centro Italia. Peccato che di quest'acqua non rimanga nulla in superfice; in alto per via del carsismo, in basso per via delle condotte, nella stagione calda il letto del torrente è completamente asciutto già all'alteza di Porte di Fonno, a circa 800 m. Se si vuole ammirare la cascata del Vitello d'oro, situata poco a valle del Mortaio d'Angri, occorre visitarla nel periodo dello sciogliento delle nevi, l'unico momento in cui la portata d'acqua è significativa.

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Cresta delle Malecoste (Gran Sasso)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi La cresta delle Malecoste è il crinale che va dalla sella omonima al monte Cefalone. E' una cresta molto, molto, panoramica; da qui si possono ammirare tutte le valli principali del settore occidentale del Gran Sasso, la valle del Chiarino, del Venacquaro, la val Maone ed inoltre alcune delle cime più importanti e maestose del gruppo: monte Corvo, Pizzo Intermesoli e naturalmente il Corno Grande. Proprio per questo risulta abbastanza frequentata e apprezzata; il sentiero è segnalato (segni di vernice molto scoloriti) ed eccetto il primo tratto dove non sempre la traccia è netta, il percorso risulta molto intuitivo anche perchè si svolge prevalentemente in cresta. La si può percorrere iniziando da Campo Imperatore (Fonte Cerreto) oppure, come riportato sotto, da sopra San Pietro; in entrambi i casi conviene lasciare un'auto dove si decide di scendere, chiudendo così un anello. Tra il luogo di partenza e quello di arrivo ci sono solo pochi chilometri di strada e quindi risulta facile organizzarsi con le auto. L'itinerario presenta alcuni tratti molto esposti e a volte occorre anche appoggiare le mani. Niente di particolarmente difficile ma comunque è richiesto un minimo di esperienza e di allenamento.

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Via Cieri (Monte Infornace, Gran Sasso)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi Il versante meridionale del monte Prena è caratterizzato da pinnacoli, balze rocciose e canaloni incassati. Questo caos di rocce è solcato da tre itinerari molto simili tra loro: la via dei Laghetti, la Brancadoro e la Cieri. La via Cieri è la più semplice delle tre elencate ed è quella che non arriva in cima al monte Prena bensì termina sul vicino e poco appariscente monte Infornace. E' un itinerario che presenta alcuni passaggi alpinsitici di I grado, occorre infatti superare brevi paretine rocciose dove occorre aiutarsi con le mani. Nella parte inziale l'itinerario si svolge per lo più nel letto asciutto di un torrente. L'acqua qui è presente solo durante i temporali e nel periodo dello scioglimento delle nevi, due momenti sicuramente da evitare. Questo sentiero è stato inaugurato nel mese di agosto del 1986 ed è dedicato a Raffaele Cieri Pugliese, medico degli alpini, decorato con medaglia di bronzo al valore militare. Un alpino come Adelelmo Brancadoro, capitano e decorato con la medaglia d’argento al valor militare a cui è dedicato l'itinerario che corre a poca distanza.

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Il Dente del Lupo (Gran Sasso)

vedi flickr (www.flickr.com): Antonio Palermi Il Dente del Lupo, sotto il monte Camicia, nel gruppo del Gran Sasso, è considerato il 2000 più impegnativo dell'Appennino. Per arrivare in vetta, seguendo la via normale (poco meno di 100 m), bisogna superare dei passaggi alpinistici di III e IV grado su roccia a tratti friabile. Anche l'avvicinamento non è banale. Dopo aver risalito tutto il vallone di Vradda, occorre scendere un ripido pendio erboso e un canalone con brevi passaggi di I grado. Questo tratto, che permette di raggiungere la Forchetta di Penne, sulla guida Cai-Touring del 1972 a cura di C. Landi Vittorj e S. Pietrostefani, veniva descritto con queste parole: "Per raggiungerlo [il Dente del Lupo, N.d.A] occorre scendere per un ripidissimo e malfido pendio erboso e sassoso". Per questi motivi risulta poco appetibile dal punto di vista alpinistico, infatti la maggioranza degli scalatori mette in cima alle preferenze la qualità della roccia, la bellezza della scalata e anche un avvicinamento non complicato. Così, anche se posto in un ambiente superbo e severo, questo campanile risulta pochissimo frequentato. Di contro, molti escursionisti ambiscono a questa vetta per diversi motivi, non ultimo quello di completare la salita di tutti i 2000 degli Appennini. Il consiglio, per tutti coloro che non hanno una buona esperienza alpinistica e vogliono salire questa cima, è di rivolgersi a persone più esperte: amici esperti o guide alpine.

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